domenica 15 agosto 2010

IL POTERE DELLA DRAMMATURGIA

Comincio a ragionare pubblicamente su cosa significhi per me la parola per rappresentare. E parto da una domanda: è possibile non rappresentare? E' possibile cominciare una giornata senza immaginarsi qualcosa, ricordare qualcosa, prevedere, pregustare, sperare, temere, desiderare? Neanche la semplice azione di guardare sembra concernere esclusivamente la percezione visiva "oggettiva". Pare che per vedere un'immagine il cervello debba in qualche modo riaggregare i dati percepiti dagli occhi e, in una qualche maniera, "immaginare" la realtà.
Ne L'arte di vedere, Aldous Huxley dice che: "Quando noi vediamo, la nostra mente entra in rapporto con gli eventi del mondo esterno per mezzo degli occhi e del sistema nervoso. Nel processo della visione, mente, occhi e sistema nervoso sono strettamente associati in un tutto unico. Influenzando uno di questi elementi si influenzano tutti gli altri. [...] Il processo della visione può essere scisso analiticamente in tre processi distinti: sensazione, selezione, percezione. Oggetto della sensazione è un complesso di sensa che si trovano in un determinato campo. (Un sensum visivo è una delle chiazze colorate che formano, per così dire, il materiale grezzo della visione e il campo visivo è la totalità di tali chiazze colorate [...]) La sensazione è seguita dalla selezione, un processo per cui una parte del campo visivo viene distinta e sceverata dal complesso [...] ... in qualsiasi momento c'è in generale nel campo visivo qualcosa che ci interessa distinguere più chiaramente di tutto il resto. Il processo finale è quello percettivo. Esso comporta il riconoscimento del sensum sentito e selezionato come apparenza di un oggetto fisico esistente nel mondo esterno. E' importante ricordare che gli oggetti fisici non ci vengono offerti come dati primari. Ciò che ci viene dato è soltanto un complesso di sensa non referenziali. In altre parole, il sensum, come tale, è semplicemente una chiazza colorata senza alcun riferimento a un oggetto fisico esterno. Quest'ultimo appare soltanto una volta che il sensum sia stato selezionato, e che venga poi usato per percepire. E' la nostra mente che interpreta il sensum come l'apparenza di un oggetto fisico esistente nel mondo esterno".
Ciò che vedo, se ho capito bene cosa dice Huxley, sembra essere di fatto un'elaborazione della realtà esterna. Un po' come il "Questa non è una pipa", di Magritte. Il mondo esterno è fatto di chiazze colorate che per essere restituite come oggetti, persone, realtà, etc. devono passare per un processo di rappresentazione messo in scena dalla mia mente. Non posso allora che avere una percezione immaginaria del reale. Quindi, la mia capacità di conoscere il, e di relazionarmi col, mondo potrebbe dipendere parecchio dalla qualità con cui, e dal modo in cui la mia mente crea per me le mie rappresentazioni.
In usare il cervello per cambiare, Richard Bandler sostiene che: "La maggior parte degli individui non utilizza attivamente e deliberatamente il proprio cervello".
Che intende dire? Che ci può essere un modo attivo e deliberato di elaborazione ed interpretazione dei sensa, rispetto a un modo reattivo e non deliberato? E come potrebbe intendersi un modo non reattivo. Mi viene spontaneo pensare che si possa trattare di un modo deliberatamente creativo di elaborazione dei sensa. Come se si trattasse di diventare consapevoli di poter creare attivamente l'immagine del mondo esterno con tutte le conseguenze materiali che ciò comporta. Più che altro di diventare consapevoli che non si può non creare l'immagine del mondo esterno a noi, che lo si faccia deliberatamente e creativamente o passivamente e reattivamente. William Blake dà molto valore a questa consapevolezza quando dice: "Colui che non immagina a tratti migliori e più intensi, e in una luce migliore e più intensa di quanto possa vedere il suo occhio morente e mortale, non immagina affatto". In buona sostaza reagisce soltanto, è vittima predestinata di un fuori fatto di brutte chiazze colorate.
Senza timore di derive new age, mi chiedo anche se la realtà delle chiazze colorate dei sensa in cui vivo e alla quale reagisco e da cui dipendono in modo così determinante le mie rappresentazioni non sia soggetta in qualche modo ad essere "ricreata" dalla creatività che introduco quando trasformo quelle stesse chiazze colorate o quegli stessi sensa in percezioni, visioni, dialoghi. La rappresentazione della realtà trasforma in qualche maniera la realtà? Se sì, allora il modo in cui ci si rappresenta il mondo, creativamente o reattivamente, assume una rilevanza praticamente assoluta. Io non so se questa considerazione corrisponda a una verità universale e forse non è così importante saperlo. Ma la cosa che non può essere sottovalutata è l'ossessionante impossibilità dell'uomo di esimersi dal produrre costantemente drammaturgia. Non può non farlo. Bandler dice che il cervello è come una macchina alla quale manca l'interruttore con la posizione di "spento". O decidi di partecipare attivamente a questa creazione o scegli di lasciarti andare alla produzione di qualunque cosa capiti, che il più delle volte significa roba scadente, priva di passione e soprattutto sempre uguale a se stessa poiché figlia dell'abitudine. Non c'è alterrnativa. Figuriamoci se una tale attività nevrotica disponesse anche della facoltà di influenzare la creazione stessa del mondo. Credo, perciò, che diventare consapevoli del potere di un tale codice drammaturgico, costituente forse la stessa natura umana, sia un atto dovuto di assunzione di responsabilità. Il potere della drammaturgia è lo stesso che può dare la libertà e toglierla agli individui e alle comunità. Creare una buona drammaturgia equivale a creare le condizioni per una vita viva, appassionata, ricca di possibilità. Una nazione che non sa nemmeno rappresentarsi il suo incubo, che non sa utilizzare il suo potere drammaturgico creativo è una nazione che ha derogato alla qualità dell'umano ed è destinata a continuare ad essere una Repubblica di Morti Viventi.

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