DOPPIO LEGAME
scene
di lotta di classe nel regno di cosa nostra
di Maria Piera Regoli e Salvatore Zinna
Interpretato
da Salvatore
Zinna
Musiche
originali di Renzo Ruggieri
regia
di Federico
Magnano San Lio
Una
testimonianza sorprendente costruita sui verbali del maxiprocesso
alla mafia istruito nel 1986 da Giovanni Falcone. La storia
tragicomica di Enzuccio, pentito privo di credibilità e uomo che non
conta nulla; piccolo, diseredato, brutto, cattivo, che rappresenta la
sua paradossale ricerca di giustizia e dignità in un mondo dove
“essere qualcuno equivale a essere – alias vivere -, mentre
essere nessuno equivale a non essere – alias scomparire”.
Lo
spettacolo
Per
permettere al fratello di pagare i debiti di un commercio di acciughe
andato male, Enzuccio fa una rapina al bar della sorella di un
mafioso infilandosi in una spirale inarrestabile di conseguenze senza
vie di fuga, come la scena del mondo, in cui si svolge lo spettacolo:
senza quarta parete, con un’unica uscita che per Enzuccio è solo e
soltanto la platea - la credibilità del suo racconto per gli
spettatori che sono gli unici detentori del potere sulla sua vita e
sulla sua morte.
Il
titolo
Il
DOPPIO LEGAME è una sequenza comunicativa contraddittoria che crea
una relazione interpersonale molto disturbata. In questo tipo di
relazione un soggetto vive in pratica un dilemma. insolubile. Le
condizioni per il prodursi di un doppio legame sono che:
1)
un individuo (A) sia coinvolto in un rapporto particolarmente intenso
e senta l’importanza
vitale
di comunicare adeguatamente con l’interlocutore (B);
2)
lo stesso individuo (A) sia prigioniero di una situazione dove
l’altro (B) emette messaggi che
si
contraddicono e di fatto trovi impossibile rispondere in maniera
soddisfacente ad essi;
3)
il soggetto (A), in ragione di motivazioni diverse, risulti
impossibilitato a metacomunicare, non riesca cioè ad analizzare e a
sottrarsi ai messaggi paradossali emessi dall’altro (B) e i suoi
sistemi logici finiscano con il subire un collasso. Consideriamo una
relazione familiare paradossale, innescata, ad esempio,
dall’ingiunzione : "Non essere così ubbidiente !".
L’asserzione contiene due livelli in contraddizione tra loro : al
metalivello, il tipo di asserzione, un comando, contraddice il
messaggio al livello oggetto, di non
accettare
comandi. Il destinatario è preso in un doppio vincolo , poiché
l’ingiunzione dev’essere disobbedita per essere obbedita e
viceversa; non si può reagire ad essa in modo adeguato.
Egli
non può neanche non reagire; ma se l’emettitore,
implicitamente o esplicitamente, vieta qualsiasi comunicazione sulla
propria ingiunzione, il destinatario non ha vie di uscita. Egli non
può decidere a quale ordine di messaggio rispondere.
E’
UNA ILLUSIONE DI ALTERNATIVE, POICHE' ENTRAMBE LE SOLUZIONI SONO
ERRATE (E SANZIONATE DALL’EMETTITORE). SE LA SITUAZIONE VIENE
REITERATA NEL TEMPO, LO SCHEMA PARADOSSALE SI STABILIZZA E LA
RELAZIONE PUÃ’ DIVENTARE PATOLOGICA.
Note
degli autori
Nel
1991 (noi, Maria Piera Regoli, Salvatore Zinna e Federico Magnano San
Lio) cominciavamo il lavoro di analisi dei documenti del maxiprocesso
alla mafia del 1986 che approderà alle messe in scena di QUANDO TI
DICONO UNA COSA, NON CI RISPONDERE, FAI FINTA CHE PESCHI SEMPRE, del
1992, e di DOPPIO LEGAME, del 1993. Le due opere hanno la fatalità
di debuttare in un periodo tra i più tragici della storia
repubblicana del nostro paese. Le stragi di Capaci, di via D’Amelio,
le bombe ai monumenti di Firenze, Roma, Milano ad opera di Cosa
Nostra ci colgono nel pieno del nostro lavoro di approfondimento sul
fenomeno mafioso. Cosa c’era di rappresentabile in tutto
quell’orrore? Cosa, oltre lo sdegno, lo sgomento, la paura? Alcune
testimonianze dei primi pentiti ci apparivano quasi tragicomiche
raffrontate
all’enormità di ciò che stava accadendo: uomini di scarsa
intelligenza, di origini poverissime, caprai, sottoproletari alla
deriva del nostro mondo che insieme a (pochissimi) colletti bianchi
tiravano le fila del potere più grande che abbia mai messo sotto
scacco l’Italia democratica. Cosa c’era di rappresentabile? La
domanda ci obbligava a una risposta non ovvia. Mentre in tutta la
Sicilia iniziava una risposta della società civile senza precedenti
e si rappresentava la mafia come una mostruosa realtà che
nulla aveva a che fare con noi, ci rendevamo conto che alcuni di
quegli stessi tragicomici personaggi che riempivano la cronaca del
maxi processo, avevano un’umanità da mostrarci che ce li faceva
sentire pericolosamente vicini. Cosa c’era di rappresentabile,
dunque? La nostra prossimità. La contiguità culturale che
accomunava i bisogni primari di un’intera società: quella mafiosa
e quella non mafiosa. La prossimità dell’essere impauriti,
impotenti, isolati, sopraffatti dalle prepotenze del mondo. Per molti
di questi personaggi (che una volta forse avremmo avuto in simpatia
come i diseredarti del mondo) Cosa Nostra rappresentava e, forse
ancora oggi, rappresenta la protezione dalle prepotenze. E’ brutto
dirlo, ma è necessario; rappresenta un valore importantissimo: il
rispetto. Che vuol dire la possibilità di farsi rispettare come
esseri umani. Il rispetto a cui ogni essere umano ha diritto. Ci
rendiamo conto di inoltrarci in un terreno minato e poco
rassicurante. Per questo sgombriamo il campo da ogni equivoco: non si
tratta di giustificare una subcultura di prevaricazione e di morte.
Si tratta di scavare alla radice della contraddizione che tiene in
piedi il fenomeno. Si tratta di fare i conti con la nostra tragedia.
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